Sulle orme della Sirena Partenope (prima parte)

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Fontata Partenope Piazza Sannazzaro

Una leggenda che, a distanza di quasi tremila anni, non smette di affascinare. E’ quella legata alla Sirena Partenope, straordinaria creatura del mare lasciatasi morire di inedia nelle acque antistanti Punta Campanella per non essere riuscita ad ammaliare il prode Ulisse. Il suo corpo, raccontano gli antichi, trascinato dalle correnti, andò a spiaggiarsi sull’isolotto di Megaride e lì fu sepolto con tutti gli onori. Ma un altro “racconto” ci porta a una seconda e meno prosaica versione del mito: Partenope sarebbe stata, in realtà, una bella vergine greca (in greco antico Parthenos significa, appunto, “vergine”) in fuga d’amore con il suo compagno, verso i lidi campani, e qui sbarcata, con un gruppo di coraggiosi coloni, per gettare le fondamenta della futura Neapolis. Vera o falsa che sia la storia, resta un dato: il passaggio di questa incantevole creatura sulle sponde del Golfo ha lasciato tracce indelebili non solo nella storia di Napoli, ma anche nel suo tessuto urbano. Lo testimoniano i nomi dati ai luoghi: basti pensare, ad esempio, al Corso Sirena, il tratto di strada che da Piazza Procelle attraversa il quartiere Barra (fino al 1925 quando l’attuale quartiere della periferia orientale era Comune autonomo, il suo simbolo era composto da una sirena con la doppia coda, sormontata da una corona), oppure ai numerosi elementi ornamentali che ancora oggi campeggiano sui portoni degli antichi palazzi del Centro Storico. Ma anche alle sculture innalzate qua e là, a memoria di quel mitologico approdo.[charme-gallery] Prendete lo scoglio più celebre di Napoli: quello di Megaride. Già il nome sembra tutto un programma. Megaride, infatti, sembra derivare dal greco mégaron, “casa signorile, sala di adunanza, o più semplicemente “grande”.  O addirittura da “Mégaira”, la terribile Megera. Non sempre nella mitologia greca, le sirene avevano un bell’aspetto. Al contrario, spesso erano raffigurate con un corpo metà femminile e metà da uccello rapace. Come le megere, appunto. Tuttavia, è molto più probabile che quel nome così “terribile” derivi da una parola grecizzata imparentata con il babilonese “Makallu”, vale a dire “approdo, luogo di sbarco”. Un termine che ci restituisce alla perfezione l’originaria funzione di quel lembo di terra quando, nel IX secolo a.C., i primi coloni rodiesi provenienti dalla vicina Cuma, vi si stabilirono, impiantandovi uno scalo per le loro navi. In quel gruppo, vergine o mezzo uccello che fosse, c’era anche lei: Partenope. Ma ora torniamo alla leggenda. Quando questa misteriosa sirena si arenò sull’isolotto, oramai priva di vita, mai avrebbe immaginato che su quel lussureggiante scoglio, oggi collegato alla terraferma, ma in quegli anni distante pochi decine di metri dalla linea di costa (e dalla foce del leggendario fiume Sebeto), sarebbe sorta, quasi mille anni più tardi, una delle dimore più ricche dell’impero romano: la villa di Lucio Licino Lucullo. Né poteva immaginare, la sfortunata vergine, che proprio sulle fondamenta di quella sfarzosa dimora, sarebbe stato edificato, un paio di secoli più tardi, uno dei simboli della città del Vesuvio: Castel dell’Ovo, il famoso maniero del “mago” Virgilio. Poveretta. La struggente creatura cresciuta nelle grotte della Penisola Sorrentina non poteva saperlo. Era già passata a miglior vita. Ma il suo corpo, prelevato dal mare, non era stato tumulato frettolosamente sulle balze di quella roccia disabitata. Nossignori. Recuperato dalle acque di Megaride, era stato composto in un grandioso sepolcro che studiosi e archeologi, nel corso dei secoli, hanno creduto di localizzare ora sulla collina di Sant’Aniello a Caponapoli (zona di piazza Cavour), ora alla foce del fiume Sebeto (nell’area dell’attuale piazza Plebiscito), ora sotto le fondamenta della chiesa di Santa Lucia (che pare sia stata innalzata proprio sui resti di un antico tempio dedicato, guarda caso, al culto della sirena) o, ancora, incastonato nelle fondamenta della chiesa di San Giovanni Maggiore, lì, nel cuore di via Mezzocannone (tutto nascerebbe da un’iscrizione posta su una lapide nei pressi dell’altare dell’edificio di origini paleocristiane).[charme-gallery] Ma neanche si può escludere che sia stata seppellita lì, su quell’isolotto, magari sotto le mura di Castel dell’Ovo. E che il suo corpo sinuoso, si sia semplicemente dissolto, trasfigurandosi nella morfologia del paesaggio napoletano. Partenopeo per l’appunto. Con il capo ad oriente, sull’altura di Capodimonte, ed i piedi ad ovest, verso il promontorio di Posillipo. Quel che è certo, è che nel giro di pochi anni la mitica Partenope si trasformò nella protettrice del luogo, onorata con sacrifici e fiaccolate. E venerata dal popolo che scelse di dare il suo nome al villaggio di pescatori destinato a sorgere, di lì a poco, lungo la costa: Partenope, l’odierna Napoli. Certo, questa è la storia che riporta la mitologia. Ma appare una versione che non può essere tanto distante dalla verità, dal momento che nella Grecia Orientale, in quegli anni, il culto religioso delle sirene, e quello della sirena Partenope in particolare, era molto vivo. Tutto lascerebbe presagire, dunque, che proprio lì, su quell’isolotto i fondatori dell’antica Capitale abbiano deciso di innalzare un altarino dedicato alla mitica creatura degli abissi. Una divinità a cui non è mancato chi, nel corso dei secoli, ha tentato di attribuire un volto. (seguirà seconda parte)