Pasqua, a tavola festa con resurrezione del palato (parte prima)

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fellata misto salumi

Ogni festa ha il suo piatto. E la tradizione da rispettare. Non fa certo eccezione la Pasqua, ricorrenza per eccellenza dei Cristiani, ereditata dal pesach ebraico che simboleggia il passaggio (pesach, appunto) dalla schiavitù d’Egitto alla liberazione, e trasformata nella celebrazione della Resurrezione di Gesù. Festa cristianissima, dunque. Anche nel piatto, dove storia e folklore spesso si incrociano, plasmando un mix che profuma di storia. Come nel caso dell’agnello, probabilmente il simbolo più forte e prestigioso di questa antica ricorrenza che affonda le proprie radici nella notte dei secoli.

Ebbene, la tradizione di consumare il cucciolo della pecora nel giorno di Pasqua deriva dalla “Pesach” dei figli di David. In particolare, il riferimento è a quando Dio annunciò a Israele che lo avrebbe liberato dalla schiavitù mandando nel regno del Faraone le celebri “sette piaghe”. Una di queste, probabilmente la più dura, prevedeva la morte di tutti i primogeniti. Secondo la Bibbia, il Signore ordinò agli israeliti di marcare le porte delle loro case con sangue d’agnello in modo che l’angelo della morte, al suo passaggio, fosse in grado di riconoscere chi colpire e chi no.[charme-gallery] L’agnello è successivamente passato a designare, nella Pasqua Cristiana, il figlio dell’Uomo, vale a dire Gesù, l’agnello di Dio mandato in sacrificio per espiare i peccati dell’uomo. Gesù, il risorto. Da qui l’usanza di consumare questa tenera carne nel giorno che segna il passaggio dalla morte alla vita. E ci riporta, in qualche modo, ancora al paese delle “sette piaghe”, un altro dei simboli per eccellenza di questa ghiotta festività: l’uovo di Pasqua. Nel Paese del dio Nilo, infatti, l’uovo era venerato come il fulcro dei quattro elementi portanti dell’universo: l’acqua, l’aria, la terra e il fuoco. Era, insomma, un simbolo di sacralità perché portatore, nel suo guscio, di vita. Nel Medioevo, il Cristianesimo non ebbe alcuna difficoltà a trasformare un’usanza già nota ai persiani (che all’avvento della primavera erano soliti scambiarsi uova di galline) in un simbolo della Resurrezione.

D’altronde, l’uovo, all’apparenza, ha tutte le sembianze di un sasso freddo e privo di vita, proprio come il sepolcro di pietra in cui era stato deposto il corpo di Gesù dopo la Crocifissione. Nel guscio però, si cela una vita nuova, pronta a sbocciare. Proprio come ha fatto il figlio di Dio uscendo dalla tomba. Ora, la tradizione del classico uovo di cioccolato è piuttosto recente, ma l’abitudine di regalare uova vere o artificiali, abbellite, decorate oppure rivestite in materiali preziosi come argento ed oro, prese piede proprio nell’età di mezzo e a partire dal XIII secolo in particolare, quando si diffuse nei palazzi dell’aristocrazia di mezza Europa. Una tradizione giunta più o meno intatta fino ai giorni nostri. Con la non piccola differenza che al posto dei materiali preziosi, oggi l’uovo è fatto di cioccolato. E dentro ha una “vita” che è simboleggiata dalla classica sorpresa. Di cioccolato, ma non solo.[charme-gallery]Perché se non è fatto del dolce nettare scoperto dai conquistadores nelle Americhe, allora non può che essere un vero uovo di gallina. Bollito e mangiato “sodo”, stupendamente abbinato alle chicche del tagliere “made in Campania”. Avete mai sentito parlare della “fellata”? All’ombra del Vesuvio non c’è Pasqua senza questo succulento antipasto, autentico preludio alle pietanze che primeggiano a tavola. Con questo termine, tipicamente dialettale, si indica il classico tagliere di salumi misti e formaggio.

Quindi letteralmente fette (“felle”) di salame, caciocavallo, capicollo, provolone e, scusate se poco, uova sode e ricotta salata. In questo lussureggiante paniere di bontà, i salumi rappresentano un po’ il simbolo della ricchezza contadina, la ricotta salata esprime invece lo spirito di comunione: l’unione totale che solo un formaggio povero utilizzato per arricchire e completare gli assaggi, con tocco di sapidità e morbidezza, è in grado di garantire. (segue seconda parte)