Napoli e gli Apostoli, culto di pietra (seconda parte)

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san paolo maggiore

Continua da prima parte………Antica, o quasi, come San Pietro ad Aram è anche la chiesa dedicata a San Paolo, il persecutore di Cristiani folgorato e convertito alla fede di Cristo sulla celebre via di Damasco. Un altro Discepolo, dunque, il cui culto perdura, immortalato nella roccia di Partenope. La Basilica di San Paolo Maggiore fu costruita nell’VIII secolo nell’area in cui, un tempo, sorgeva il foro romano, direttamente sulle rovine del tempio dei Dioscuri. Di quell’originario impianto restano due colonne e traccia della trabeazione a fare bella mostra di sé sulla facciata dell’edificio.

Notevolmente ristrutturata nel corso del XVI secolo, la chiesa ha un interno a croce latina a tre navate con cappelle laterali. Ed è abbellita dagli affreschi di Massimo Stanzione, in cui vengono raffigurate le gesta degli Apostoli Pietro e Paolo. Straordinari sono anche i dipinti della Sacrestia, opera di Solimena, con scene della Conversione di San Paolo, la Caduta di Simon Mago e le Virtù. A sinistra del presbiterio svetta una delle cappelle gentilizie più importanti del barocco napoletano: la cappella Firrao.

Lasciando la Basilica del cosiddetto “Apostolo dei gentili” e scendendo in direzione di via Anticaglia, si incontra un altro luogo di culto che merita assolutamente di essere visitato per il suo speciale rapporto con i “Dodici”: la chiesa, appunto, dei Santi Apostoli. L’edificio (oggi in parte adibito a sede del liceo artistico statale), così come tanti altri della città, fu innalzato sulle rovine di un tempio pagano (forse quello di Mercurio). E la sua fondazione, attribuita al vescovo Sotero, risalirebbe all’anno 468. Tuttavia, per avere notizie più certe della struttura, bisogna attendere la gestione dei padri Teatini, che a partire dal 1581 se ne presero cura promuovendo lavori di ristrutturazione.

Più volte danneggiata dai terremoti (compreso quello del 1980) e poi restaurata, la chiesa si presenta oggi in sontuose forme barocche, offrendo all’occhio rapito dei fedeli una suggestiva sagrestia (vi troneggia un organo del Settecento), un pavimento a strisce marmoree risalente al 1698 (restaurato, però, all’inizio del Novecento) e uno stupendo ciclo di dipinti opera di Lanfranco, Francesco Solimena e Giovan Battista Benaschi (suo l’affresco della cupola che rappresenta il Paradiso).

Al suo interno, nel monumentale cappellone dell’Immacolata (opera settecentesca di Ferdinando Sanfelice), si trova anche lo straordinario Altare Filomarino, unica opera napoletana di Francesco Borromini. Nella sottostante cripta affrescata da Belisario Corenzio, grande quasi quanto tutto l’impianto (e adibita, un tempo, a cimitero), è sepolto il poeta Giambattista Marino. (continua con parte terza)