Nei segni dell’arte i misteri più reconditi (parte prima)

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Napoli, città d’arte e passione. Un po’ sacra, un po’ profana. Dove tutto è straordinariamente fascinoso. Partenope, urbe occulta, fantastica, segreta. Pullulante di vicoli e palazzi che trasudano storia da ogni singolo mattone, fucina di fatti e racconti avvolti nella nebbia del mito, in cui si celano, gelosamente, straordinarie verità misteriche, figlie di un linguaggio muto. Svelato a malapena ai soli iniziati.

Lì, all’ombra di un maestoso obelisco, oppure scolpito nella facciata in bugnato di una chiesa. Sarà un caso che da Pitagora al nobile Raimondo Di Sangro, passando per Giovan Battista della Porta, non siano mancati quanti, nel corso dei secoli, abbiano scelto di affidare a questa fertile terra campana i lati oscuri del loro insegnamento.

A Napoli ogni cosa sembra rimandare all’esoterismo. E la leggenda inizia con la sua stessa fondazione: la morte della sirena Partenope. Chi era costei? Una mitica creatura del mare, lasciatasi morire tra le onde del Tirreno a causa del rifiuto di Ulisse, così come recita il celebre racconto? Oppure, più semplicemente, una corteggiatissima e bellissima vergine in fuga d’amore dalla Grecia (dove il padre ne ostacolava il fidanzamento con il bel Cimone) e qui giunta, esule, insieme con il suo compagno, a colonizzare la terra che poi da lei prese il nome?

Quel che è certo è che il suo approdo sull’isolotto di Megaride segna, di fatto, il primo vagito della odierna città. E che proprio su quel lembo di terra, dove oggi troneggia Castel dell’Ovo, per anni i partenopei abbiano venerato il suo misterioso sepolcro, insieme con San Gennaro e il  “Mago” Virgilio.

Non c’è solo il mito di Partenope ad affascinare gli indagatori dell’occulto. Come non si fa, infatti, a non guardare… dove mettiamo i piedi? Pensiamo solo per un istante al sottosuolo di Napoli: un’autentica città nella città, scavata nel suo ventre antico. Una fitta rete di cunicoli scavata e utilizzata, nel corso dei secoli, per diversi scopi: da cava per l’estrazione di tufo ad acquedotto. E infine rifugio antiaereo negli anni dell’Ultima Guerra. E’ dal sottosuolo, secondo le leggende, che sbucavano i “munacielli”. Ma è anche in questo luogo oscuro che si nasconde un mistero che ancora attende di essere svelato.

Pochi sanno, infatti, che nella parte alta di via Cattaneo c’è uno spiazzo noto come borgo delle “Due porte” all’Arenella che deve il suo nome alla presenza di due antichi archi. A pochi passi da qui, praticamente a ridosso della chiesetta detta “delle fate” c’è un terrapieno ricco di cavità che conducono a una serie di cunicoli, oggi in parte franati o comunque colmi di detriti. E’ questo il posto in cui, nel XVI secolo, sorgevano le fondamenta del palazzo in cui abitava l’umanista ed alchimista Giovan Battista della Porta. A lui si deve la fondazione dell’Accademia dei Segreti, una sorta di circolo esoterico riservato ai cultori delle scienze naturali che, a quanto pare, si trovava proprio in una di queste cavità sotterranee. Lo testimonierebbero le raffigurazioni di alcune divinità egizie e l’ingresso di una caverna a forma di teschio, trovati, alcuni anni fa, da un gruppo di speleologi: tracce queste che richiamano alla mente l’esistenza di culti e pratiche misteriche di cui si è persa la traccia.

Da un sotterraneo all’altro, il passo è breve: chi non ha mai sentito parlare di Castel dell’Ovo? Già il richiamo stesso all’uovo, simbolo alchemico per eccellenza, di fecondità e vita eterna, ricettacolo di “trasformazione interiore”, rimanda in automatico a pratiche di stampo esoterico, legate alla fondazione del più celebre maniero di Partenope. Castel dell’Ovo fu edificato sull’isolotto di Megaride, sulle fondamenta di un’antica villa romana, successivamente adibita a prigione (pare vi fosse stato “ospitato” finanche l’ultimo re dell’impero romano d’Occidente, Romolo Augustolo). E poi trasformata in convento dai monaci bizantini prima di diventare Camera regia del Tribunale e dell’erario dello Stato sotto la dominazione normanna; e quindi castello vero e proprio, in epoca angioina e aragonese.

Il colosso di pietra trae il proprio nome da un’antica tradizione. Si tramanda, infatti, che il poeta Virgilio, mago e taumaturgo, protettore della città in epoca medievale, pose nei suoi sotterranei un uovo magico nascosto in un’anfora (o forse si trattava di una brocca di vetro) chiusa in una gabbia di ferro, a sua volta appesa a una trave (oppure murata in una nicchia). Alla rottura dell’uovo, narra la leggenda, tutta la città sarebbe sprofondata nel mare. Un’altra versione, un po’ meno prosaica, rimanda, invece, il termine “uovo” alla pianta particolare del castello. Appunto, di forma ovale. (segue parte seconda)