Gesù Nuovo, la basilica più amata, martoriata dalla leggenda, esaltata dal barocco

Storia della chiesa del Gesù Nuovo, in pieno Centro storico di Napoli. L'edificio nacque come dimora della sfortunata famiglia Sanseverino, i Padri Gesuiti acquistarono il palazzo per trasformarlo in chiesa con le donazioni di Isabella Feltre della Rovere. Tra i luoghi di culto più visitati di Napoli, ospita la cappella dedicata al medico Giuseppe Moscati, santificato nel 1987

9988

L’edificio nacque come dimora della sfortunata famiglia Sanseverino, i Padri Gesuiti acquistarono il palazzo per trasformarlo in chiesa con le donazioni di Isabella Feltre della Rovere. Tra i luoghi di culto più visitati di Napoli, ospita la cappella dedicata al medico Giuseppe Moscati, santificato nel 1987

Tra le cinquecento e passa chiese di Napoli, la chiesa del Gesù Nuovo, nel bel mezzo di Spaccanapoli, in pieno Centro storico, è tra le basiliche più amate e frequentate dai napoletani. La sua facciata, che finì finanche stampata sulle carte da diecimila delle vecchie lire italiane, è uno dei rarissimi esempi di bugnato a punta di diamante, una tecnica architettonica utilizzata per dare maestosità all’edificio.

Ma la facciata del Gesù Nuovo ha una storia molto particolare da raccontare. Le sue bugne, volute da Novello da San Lucano, presentano strani segni scolpiti nel piperno estratto dalle cave di Soccavo. Per anni, questi contrassegni sono stati creduti simboli alchemici che i cavatori avrebbero impresso sulla pietra per fornirle energia positiva. Una leggenda, forse sviluppatasi nel ‘700, quando l’alchimia era di casa a Napoli, vuole che durante la costruzione del Palazzo Sanseverino le pietre segnate vennero collocate sulla facciata in un ordine sbagliato, provocando un effetto contrario a quello voluto dai cavatori. L’energia positiva si tramutò in energia negativa. Così, secondo questa credenza, si spiegano le sciagure capitate alla famiglia Sanseverino e tutti i crolli, gli incendi e le altre vicissitudini che hanno caratterizzato la Chiesa del Gesù Nuovo nei secoli.

Questa è la leggenda. Poi, nel 2010, lo storico dell’arte Vincenzo De Pasquale scoprì che i simboli non erano altro che lettere dell’alfabeto aramaico, la lingua parlata da Gesù. Con l’aiuto dei musicologi ungheresi Csar Dors e Lòrànt Réz giunse alla conclusione che l’imponente facciata della chiesa non fosse altro che un grande spartito musicale di canti gregoriani. Dopo quello studio, le lettere sono state trasformate in musica e i brani lì nascosti, da oltre cinquecento anni, sono stati suonati e registrati anche su un cd, ma c’è ancora chi, tra gli esperti di occultismo, nella facciata del Gesù Nuovo vuole leggere solo simboli alchemici.

E passiamo dalla particolarità della facciata alla storia della chiesa, indicata spesso anche col nome di Trinità Maggiore. Il Gesù Nuovo è forse l’esempio più esplicito del particolare barocco nato all’ombra del Vesuvio, anche se le origini della basilica sono più antiche di quel periodo artistico e risalgono al 1470, quando l’architetto Novello da San Lucano costruì, nello spazio oggi occupato dalla chiesa, la sontuosa dimora napoletana del principe di Salerno, Roberto Sanseverino.

Quello era il periodo in cui i legami artistici e culturali tra Napoli e Firenze erano particolarmente stretti e le influenze rinascimentali cominciavano a farsi strada nell’area partenopea.

La storia racconta che i beni della famiglia Sanseverino furono sequestrati e dissequestrati più volte, per una serie di vicende legate alla Congiura dei baroni e a efferati fatti di sangue. L’ultimo ad averne il possesso, ma anche a perderli definitivamente, fu Ferrante Sanseverino, che morì in povertà, durante il suo esilio in Francia, ad Orange, nel 1568. Tutti i beni di famiglia, compreso il palazzo di Piazza del Gesù, entrarono a far parte del patrimonio dell’erario e furono venduti a diverse famiglie della nobiltà napoletana. I Padri Gesuiti, però, ottennero da Filippo II la preferenza nell’acquisto del palazzo di Piazza del Gesù per trasformarlo nella chiesa intorno alla quale realizzare l’insula gesuitica partenopea.

Nel 1551, fu proprio il fondatore della Compagnia di Gesù, Sant’Ignazio da Loyola, su pressioni di Papa Giulio II, a inviare a Napoli dodici confratelli per fondarvi la Provincia napoletana della Compagnia di Gesù. Dopo le difficoltà iniziali, la pattuglia di gesuiti riuscì a fare un buon lavoro, acquistando anche gli edifici circostanti palazzo Sanseverino e realizzando, oltre la Chiesa, anche la scuola, che prese il nome di Collegio napoletano, e la cosiddetta Casa Professa, luogo destinato alla cura delle anime dei fedeli. La chiesa disegnata dall’abile architetto gesuita padre Giuseppe Valeriano, fu chiamata del Gesù Nuovo per distinguerla da un altro tempio cittadino dedicato a Cristo, la Chiesa del Gesù, successivamente distrutto da un incendio e ricostruito ex novo, tanto da diventare più nuovo del Gesù Nuovo.

A sborsare gran parte degli ingenti capitali che furono necessari alla costruzione della Chiesa fu la nobildonna napoletana, moglie di Bernardino Sanseverino di Bisignano, Isabella Feltre della Rovere che, di fatto, fu considerata dai gesuiti come la fondatrice della Basilica.

Impressionante la gran quantità di marmi pregiati, di statue, di decorazioni, di affreschi e quadri che durante tutto il 1600 furono aggiunti agli interni, già maestosi, del Gesù Nuovo, con il coinvolgimento dei migliori artisti dell’epoca. Si va da Cosimo Fanzago che plasmò gran parte della struttura, con un lavoro durato poco meno di sassant’anni, a Francesco Solimena col suo gigantesco affresco sulla controfacciata che raffigura La cacciata di Elidoro dal Tempio. Ma nella realizzazione del Gesù Nuovo, come lo vediamo oggi, compaiono anche i nomi di artisti del calibro di Giovanni Merliano da Nola, Belisario Corenzio, Paolo De Matteis, Massimo Stanzione, Luca Giordano, Pietro Bernini, Fabrizio Santafede, Jusepe de Ribera, soprannominato Spagnoletto, Giovan Bernardino Azzolino e altri, fino ad arrivare agli artisti che, nel 1854, realizzarono lo splendido altare maggiore, al cui centro troneggia la colossale statua della Vergine, che poggia su un grande globo di colore blu ed è circondata da sei colonne di alabastro, opera di Antonio Busciolano. Quest’ultimo fu allievo di Tito Angelini e autore di numerose sculture nelle chiese e nelle piazze di Napoli.

In più occasioni, negli anni, i gesuiti hanno perso guida e controllo della Chiesa del Gesù Nuovo. Nel 1776 quando il ministro di Stato di Ferdinando IV, Bernardo Tanucci bandì la Compagnia di Gesù dal Regno di Napoli, la Basilica fu affidata ai Francescani Riformati, che ne cambiarono il nome in Trinità Maggiore. Per questo motivo, la strada che da Piazza del Gesù va verso via Medina è chiamata, ancora oggi, Calata Trinità Maggiore. Dopo poco tempo dal loro ingresso, i Francescani abbandonarono la chiesa per il crollo della cupola centrale e l’edificio di culto rimase chiuso per circa trent’anni. Poi, fu affidato ai Frati Minimi e solo nel 1821 ritornò in possesso dei gesuiti che, ovviamente, tornarono a chiamarla Chiesa del Gesù Nuovo. Ancora oggi, però, a distanza di circa duecento anni, molti napoletani continuano a definirla basilica della Trinità Maggiore.

La seconda cappella sulla destra della Chiesa, detta della Visitazione, è particolarmente cara ai napoletani, perché dedicata al medico San Giuseppe Moscati. Sull’altare c’è un dipinto di Massimo Stanzione sulla Visitazione e le decorazioni in marmi policromi sono di Cosimo Fanzago, mentre nella cupola della campata antistante si vede ciò che rimane di alcuni affreschi di Luca Giordano. Gli angeli nelle nicchie sono opera di Andrea Falcone.

Ma ciò che richiama una gran folla di fedeli, non solo napoletani, sono la tomba e la statua in bronzo del medico Giuseppe Moscati, proclamato Beato e poi Santo da Papa Giovanni Paolo II il 25 ottobre 1987. Tanti i miracoli che la Chiesa gli attribuisce, ma molte di più le testimonianze delle prodigiose guarigioni dei suoi pazienti, curati nello studio di Via Cisterna dell’Olio a un centinaio di metri dalla Basilica del Gesù Nuovo. Proprio in questa chiesa il medico Santo trascorreva ore a pregare ogni mattina, prima di iniziare il suo lavoro. Non sono quindi un caso la cappella a lui dedicata, la statua e il piccolo museo con una serie di fotografie, di oggetti personali e la ricostruzione puntuale del suo studio, completo della sedia sulla quale morì il 12 aprile 1927. Molti devoti che ogni giorno percorrono Spaccanapoli fanno una sosta nella cappella di Giuseppe Moscati per baciare la mano alla sua statua bronzea e in tanti infilano sotto l’altra mano, accostata al petto, bigliettini con richieste di grazie per persone malate.