Da Santa Chiara a piazza Calenda, viaggio tra i tesori di Spaccanapoli

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Come una ferita aperta nel cuore di Napoli. Neanche l’avesse disegnata un gigante, scavandone il solco con il pollice dall’alto della collina di San Martino. Ci sarà pure un motivo se quella strada così lunga e sottile viene chiamata “Spaccanapoli”. Vista dall’alto, sembra una cicatrice: divide la città in due parti, seguendo l’antico percorso del Decumano Inferiore, il tracciato che un tempo correva più vicino al mare. Incamminarsi lungo questo tratto di arteria equivale a fare un salto indietro nel tempo. Perché “Spaccanapoli”, museo a cielo aperto, è la storia di Napoli. La via costeggia la parte più bassa della città antica, quella che sorge a ridosso di corso Umberto. Un pezzo di Napoli che ai tempi della polis greca era posto al di fuori dell’inespugnabile cinta muraria i cui resti possono essere ammirati ancora oggi nei grossi blocchi di tufo esposti in piazza Calenda. Toccò agli Angioini, nel corso del XIV secolo, integrare la parte esterna del borgo con il resto della capitale, facendone, a poco a poco, il “centro” del Regno. Grazie all’opera dei re francesi e a quella dei loro successori, i rioni attraversati dal reticolato dei Decumani videro ben presto fiorire i primi capolavori artistici: chiese, monumenti, palazzi. Uno dei più importanti svetta in Piazza del Gesù Nuovo. Si tratta del complesso monumentale di Santa Chiara. Edificata su un preesistente edificio termale romano, la “cittadella francescana” comprende, insieme alla basilica (in cui riposano i re d’Angiò), il Museo dell’Opera, l’Area Archeologica, il Chiostro Maiolicato e la settecentesca Sala del Presepe.[charme-gallery] Se i seguaci del Poverello d’Assisi hanno trovato casa qui, non si può dire diversamente dei frati domenicani che a un tiro di schioppo da Piazza del Gesù hanno fondato il loro centro più importante: San Domenico Maggiore. Sorta tra il 1283 e il 1324 per volontà di Carlo d’Angiò, la chiesa fu sede degli studi teologici dell’Università, ed ospitò, tra gli altri, San Tommaso d’Aquino e il filosofo Giordano Bruno. Del complesso fa parte la chiesa di Sant’Angelo a Morfisa, risalente al X secolo, con il suo elegante portale quattrocentesco. A poche decine di metri da piazza San Domenico, nell’omonima piazzetta dell’antico quartiere egiziano, si trova la chiesa di Sant’Angelo a Nilo. Fu costruita nel 1385 per volere del cardinale Rinaldo Brancaccio come cappella di famiglia. La tomba dello stesso porporato, scolpita da Donatello e Michelozzo, è il suo pezzo più pregiato. Poco più a valle, affacciata su via Duomo, si trova la chiesa sconsacrata di San Severo al Pendino, oggi di proprietà del Comune. L’edificio, costruito nel 1575 sull’antica chiesa (con ospedale) di Santa Maria a Selice, è un vero e proprio trionfo dell’architettura del Cinquecento, di cui ne ricalca stile e forme. Parlando di San Severo non si può non volgere lo sguardo alla vicina chiesa paleocristiana di San Giorgio Maggiore, posta in pratica a pochi metri di distanza dalla struttura del Pendino. Originariamente dedicata a San Severo, di cui nel X secolo furono venerate le reliquie, la chiesa fu successivamente intitolata a San Giorgio, già oggetto di culto in una delle sue cappelle. E oggetto di una particolare forma di devozione, nel corso dei secoli, è stata anche la Real Casa dell’Annunziata, luogo simbolo della Napoli che fu. Il complesso, con la caratteristica chiesa sotterranea di Vanvitelli (il Succorpo), fu concepito a partire dal XIV secolo come centro per l’assistenza dei bimbi abbandonati. E’ qui, nel monumentale cortile della Casa, che si trova la famosa “ruota” lignea, specie di tamburo girevole di forma cilindrica in cui venivano deposti i piccoli. La ruota non è stata più utilizzata a partire dal 22 giugno del 1875.