Visitare San Domenico Maggiore: 800 anni di storia tra arte, culto, tombe e leggende

Nel cuore del Centro Storico di Napoli, si trova la basilica di San Domenico Maggiore, pantheon dei sovrani aragonesi. In questo luogo con 800 anni di storia hanno vissuto San Tommaso d'Aquino e Giordano Bruno e vi hanno lasciato traccia da Tiziano a Michelangelo da Caravaggio, da Raffaello a Giuseppe de Ribera, da Tino di Camaino a Francesco Solimena. E ancora Luca Giordano, Luigi Vanvitelli, Domenico Vaccaro, Cosimo Fanzago e Mattia Preti. Da ammirare un rarissimo Salvator Mundi.

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La volta della sagrestia di San Domenico Maggiore affrescata dal Solimena
MUSEI DA VISITARE A NAPOLI: SAN DOMENICO MAGGIORE. Nel cuore del Centro Storico di Napoli la cittadella dei frati domenicani voluta da re Carlo II d’Angiò, pantheon dei sovrani aragonesi. Hanno vissuto qui San Tommaso d’Aquino e Giordano Bruno e vi hanno lasciato traccia da Tiziano a Michelangelo da Caravaggio, da Raffaello a Giuseppe de Ribera, da Tino di Camaino a Francesco Solimena. E ancora Luca Giordano, Luigi Vanvitelli, Domenico Vaccaro, Cosimo Fanzago e Mattia Preti. Da ammirare anche un rarissimo Salvator Mundi di scuola leonardesca.

Otto secoli di arte e storia racchiusi in uno scrigno di pietra. Visitare il complesso monumentale di San Domenico Maggiore rappresenta una esperienza suggestiva. Un salto all’indietro nel tempo alla riscoperta di uno dei tanti volti di Napoli e di mille storie e leggende. E’ qui, a mezza strada tra il Decumano inferiore e quello maggiore, nel cuore del Centro storico patrimonio dell’Umanità, che sono passati personaggi del calibro di Giordano Bruno, Tommaso d’Aquino, Giovanni Pontano.

Filosofi, umanisti, padri della Chiesa. Ciascuno capace di lasciare la propria impronta in uno dei templi del Cristianesimo più importanti del Mezzogiorno. Ma qui sono passati o solo vi hanno lasciato traccia da Tiziano a Michelangelo da Caravaggio, da Raffaello a Giuseppe de Ribera, da Tino di Camaino a Francesco Solimena, Luca Giordano, Luigi Vanvitelli, Domenico Vaccaro, Cosimo Fanzago e Mattia Preti. E una moltitudine di altri artisti noti e meno noti. Qui, e non a Firenze, si diceva senza prove certe, sarebbe sepolta Monna Lisa, la donna che ispirò il quadro più famoso al mondo, la Gioconda di Leonardo da Vinci. Ma qui, e questo è certo, c’è una scia dell’arte di Leonardo: uno dei rarissimi Salvator Mundi della sua scuola.

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La sagrestia di San Domenico Maggiore con la balconata delle Arche Aragonesi

Edificato tra il 1283 e il 1324 in chiare forme gotiche, su volere di re Carlo II d’Angiò che ne finanziò il progetto (affidandolo poi alle cure dei frati domenicani), fin dal Rinascimento San Domenico Maggiore, con la sua chiesa e l’adiacente convento, ha rappresentato il fulcro di Napoli, uno dei “luoghi privilegiati” del nascente Regno. Il luogo, per capirci, in cui si plasmava la storia del giovane Stato anche grazie alla scelta dei re d’Aragona di elevare il complesso religioso a loro pantheon dinastico. E’ il caso delle arche (sarcofagi) custodite sulle balconate della Sagrestia affrescata da Francesco Solimena: 38 casse lignee sontuosamente ricoperte di sete, broccati o altre stoffe preziose, disposte su due file sovrapposte, contenenti una serie di feretri di reali e nobili legati allo storico casato spagnolo.

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La navata centrale della basilica San Domenico Maggiore a Napoli

La maestosa basilica, rivisitata dal Vaccaro, che la modificò, insieme all’adiacente convento, trasformandola in uno degli emblemi del Barocco napoletano, offre una particolarità tutta sua: l’ingresso su Piazza San Domenico Maggiore si propone, infatti, con l’abside e non con la facciata principale dell’edificio di culto, come pure ci si aspetterebbe. Ciò perché lo slargo con il famoso obelisco fu realizzato in un secondo momento. Dalla piazza, si può accedere alla chiesa attraverso una grande scalinata voluta da Alfonso I d’Aragona per collegare la preesistente chiesetta romanica di San Michele Arcangelo a Morfisa (a sua volta inglobata nel complesso), l’edificio in cui, nel 1231, una volta giunti a Napoli, avevano trovato ospitalità i domenicani. Ebbene, questa rampa conduce al transetto destro della basilica mentre un altro ingresso posto sul livello della strada, proprio al centro della retrofacciata, sotto il balcone quattrocentesco dove campeggiano gli stemmi dei Carafa, è collegato direttamente con la cappella Guevara di Bovino (o “Succorpo”), giusto in corrispondenza dell’abside.

Il varco d’accesso principale di San Domenico Maggiore si spalanca invece a nord, in vico San Domenico Maggiore, sul lato destro della piazza, direttamente nel cortile del convento.  L’interno della chiesa – in cui spicca un grande organo dotato di ben 1.640 canne realizzato dai maestri liutai napoletani – è a dir poco sfarzoso: un autentico tripudio di colori ben assemblati, con i marmi, il blu e l’oro che saltano meravigliosamente all’occhio, così come insegnano i dettami dello “stile ridondante”. Un soffitto a cassettoni con al centro, in bella evidenza, lo stemma dei domenicani e ai quattro angoli le armi della casa d’Aragona e la corona spagnola, fa bella mostra di sé sopra le teste dei fedeli.

Sotto le tre navate in cui è suddivisa la chiesa si snodano gli ambienti delle cappelle gentilizie: ben ventisette in tutto. Tra queste spiccano, in particolare, la seconda, chiamata anche “Cappella degli affreschi” o “Brancaccio“, di fatto l’unica di tutto l’edificio a conservare un ciclo di affreschi risalente all’epoca angioina e quindi al periodo di edificazione del tempio religioso. A firmarli, a partire dal 1308, il pittore romano Pietro Cavallini. Ma assolutamente degna di nota è anche la sesta cappella, sorta di pantheon della famiglia Carafa, conosciuta con il nome di “Cappellone del Crocefisso“. Questo spazio, un tempo, apparteneva alla cappella di San Nicola ed era parte integrante della vecchia chiesa trecentesca di San Michele Arcangelo a Morfisa. Racchiude, al suo interno, preziose opere pittoriche, nonché diversi monumenti sepolcrali e una riproduzione dell’originale tavola duecentesca del Crocefisso (oggi conservato in convento) che secondo la tradizione, nel 1273, avrebbe parlato a San Tommaso d’Aquino mentre questi era in preghiera, apostrofandolo con le seguenti parole: “Tommaso tu hai scritto bene di me. Che ricompensa vuoi?”. “Nient’altro che te, Signore” fu la risposta del teologo che scriveva in volgare e punto di raccordo fra la cristianità e la filosofia classica e che qui terminò di scrivere la terza parte della Summa Theologìae.

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San Domenico Maggiore: il rarissimo Salvator Mundi di scuola leonardesca

Del neonato Museo Doma, oltre alla Sagrestia, è assolutamente da visitare la seicentesca Sala degli Arredi Sacri, un tempo conosciuta come “Sala del Tesoro”, con la sua collezione di paramenti e oggetti sacri di grande valore storico, artistico e culturale, nonché preziosi abiti dei sovrani e dei nobili napoletani rinvenuti nelle tombe presenti nella vicina Sagrestia. Ancora, si segnala l’enigmatico “Salvator Mundi” di scuola leonardiana, databile al primo decennio del Cinquecento, molto simile a quello venduto di recente all’asta per 450 milioni di dollari (clicca qui per prenotare l’ingresso).

Al convento, parte integrante del complesso dei padri domenicani, si accede dall’ingresso di Vico San Domenico. Sviluppato su tre piani, il fabbricato racconta, attraverso i suoi dipinti, i suoi arredi e le sue opere, vicende che hanno scritto non solo la storia di Napoli, ma anche quella dell’Italia intera. Storie che conducono alla nascita dell’Università partenopea che qui ebbe la sua sede per secoli, ma anche a fatti di cronaca recenti (fino agli anni ‘90 il monastero ospitò le aule dell’ex Corte d’Assise e qui ebbe luogo il processo al boss Raffaele Cutolo.

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San Domenico Maggiore: l’entrata della cella dove visse San Tommaso d’Aquino

Nel convento, come detto, visse per molti anni il frate Tommaso d’Aquino, teologo e dottore della Chiesa, che qui ebbe la sua cella, oggi visitabile con accesso al Museo Doma, dove si conservano alcuni oggetti sacri appartenuti al Santo filosofo esponente della Scolastica e definito Doctor Angelicus.

Oggetto di svariati restauri, il convento di San Domenico Maggiore ha riaperto i battenti al pubblico nel 2012 ed oggi è suddiviso in più zone, una parte è ancora utilizzata dai frati, un’altra è sede di un liceo ed un’altra ancora con la Sala del Capitolo è del Comune. Il Museo Doma organizza visite guidate tutti i giorni, anche notturne in esclusiva e con happy hour (leggi qui).

COMPLESSO MONUMENTALE SAN DOMENICO MAGGIORE – MUSEO DOMA
Piazza San Domenico Maggiore 8/A
Museo Doma, percorso completo:
Arche Aragonesi, Collezione abiti del XVI sec.,Sagrestia, Sala degli arredi sacri, Salvator Mundi, Corridoio di San Tommaso, Cella di San Tommaso.
Intero: € 7.00 – Ridotto: € 5.00 – Gruppi e Scuole: € 5.00
Clicca qui per prenotare la visita e acquistare il ticket: shop.visitaresandomenicomaggiore.it
Aperto tutti i giorni (eccetto Natale): h. 10.00 – 18.00 con visite guidate
Tel. + 39 081 459188 — +39 333 863 89 97
www.museosandomenicomaggiore.it
Email: domanapoli@gmail.com


PIAZZA SAN DOMENICO MAGGIORE
Il Ground zero del Centro storico

La parte posteriore dell’abside della Basilica di San Domenico Maggiore si affaccia sulla scenografica Piazza San Domenico Maggiore, una delle più caratteristiche e romantiche della vecchia Napoli, col suo obelisco sormontato dalla statua bronzea del santo, contornato, come in una fastosa cornice, dai grandi palazzi dei Del Balzo (poi abitato dal famoso animatore della Congiura dei Baroni, Antonello Petrucci), dei Casacalenda, dei Corigliano, dei Sansevero (sede dei di Sangro, il più noto dei quali fu Raimondo di Sangro, cui si deve l’abbellimento della famosa Cappella Sansevero, notevole per le sue opere d’arte)

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Piazza San Domenico Maggiore a Napoli con l’obelisco e la facciata posteriore della basilica

Piazza San Domenico Maggiore è la porta del Decumano inferiore. Definisce il centro esatto del perimetro storico di Napoli e ruota intorno all’obelisco di San Domenico, ex voto dei napoletani per un’epidemia di peste scongiurata nel 1656. La guglia, dove emergono due sirene dalla doppia coda, è ispirata al nome della Basilica che Carlo II d’Angiò fece erigere tra il 1283 e il 1324. Ne fu deliberata l’erezione in occasione della famosa peste del 1656. I lavori iniziarono due anni dopo su disegno di Francesco Picchiatti (1619-94) o, secondo altri, di Cosimo Fanzago (1593-1678). Interrotti, ripresero ai tempi di Carlo di Borbone sotto la direzione di Domenico Antonio Vaccaro (1681-1750), che li portò a termine nel 1737. Ricca di marmi, bassorilievi, medaglioni e statue, la cosiddetta guglia di San Domenico termina con una piramide sormontata da una pregevole statua bronzea del santo, eseguita su disegno e con l’assistenza dello stesso Vaccaro.

La piazza è il crocevia del Centro antico napoletano, dove Spaccanapoli incontra Mezzocannone, la via delle Università. Da qui si va a San Gregorio Armeno, la stradina dei presepi. Da qui passava il principe Raimondo di Sangro per giungere al vicino laboratorio adiacente la cappella di famiglia, al cui interno il Cristo Velato. E fu qui, nel 1590, che le mura di Palazzo Sansevero furono testimoni di un sanguinoso fatto di cronaca: l’assassinio di Maria D’Avalos e del suo amante Fabrizio Carafa, colti in flagrante adulterio dal marito della bellissima principessa, il madrigalista Carlo Gesualdo. Da quel giorno, sussurra la leggenda, il fantasma della donna si aggira, etereo e sofferente, tra l’obelisco e il portale del palazzo in cerca dell’amore tragicamente perduto.