Storia e fede del tempio con le spoglie di San Gennaro

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Il Duomo di Napoli, al contrario di quanto molti possano immaginare, non è dedicato al patrono San Gennaro (che tutta la città festeggia il 19 settembre) ma a Santa Maria Assunta. Fu Carlo d’Angiò, nell’anno del Signore 1294, a volere l’edificazione della più bella e ricca di tutte le chiese di Partenope. Il sovrano venuto dalla Francia la volle lì, a due passi dai luoghi scelti dai coloni cumani per edificare il primo nucleo di Neapolis. A due passi dal dedalo dei Decumani, dalla cittadella francescana di Santa Chiara e dai resti delle possenti mura greche di piazza Bellini. Nello stesso luogo in cui sorgevano prima un tempio pagano e poi due antiche basiliche, da tempo meta di pellegrinaggi: Santa Restituta e “la Stefania”, così chiamata perché a suo tempo voluta dall’arcivescovo Stefano.[charme-gallery]

Per lasciar posto alla nuova e più capiente struttura religiosa, la prima fu ridotta al rango di cappella, e quindi compresa nel nuovo fabbricato. La seconda, fu completamente rasa al suolo. Il Duomo di Napoli si presenta agli occhi dei visitatori, con tutte le sue vicissitudini e leggende, con un impianto a croce latina: tre le navate che ne solcano gli interni. Ampie e luminose: sono divise da pilastri sormontati da possenti archi che sembrano quasi rincorrersi, nella loro statica fuga verso l’altare maggiore. Cento metri: tanto misura il “corridoio centrale” che termina in un’ampia abside. In alto, il soffitto appare suddiviso a cassettoni: il gioco degli intrecci in legno intagliato e dorato, è semplicemente magnifico. Lungo i lati, le navate presentano una suggestiva volta a crociera, con sfavillanti decorazioni di stampo barocco e, tutto intorno, particolari stucchi seicenteschi.

La facciata è di chiara impronta gotica. Quella disegnata dalle maestranze di re Carlo non esiste più. Semplicemente distrutta. Abbattuta, insieme al campanile, dal violento terremoto che nel 1349 mise in ginocchio Napoli. Che, però, non si perse d’animo. Si rimboccò le maniche e la ricostruì, ancora più bella di prima. Peccato che di quel rifacimento, terminato nel corso del XV secolo, resti oggi solo il portale maggiore, opera di Antonio Baboccio da Piperno: quanto basta, però, per suggerire l’idea di un capolavoro di cui, ormai, non resta più traccia se non sugli annali e nei libri di storia.[charme-gallery]

A fine ’700 la facciata fu sottoposta a nuovo restyling, sotto la guida dell’architetto romano Antonio Senese. E ancora a fine ’800, fu ridisegnata, su volere del cardinale Sforza, da Enrico Alvino, assumendo l’aspetto con il quale oggi si offre ai fedeli. Cantieri su cantieri. Opere di abbellimento e di arricchimento di un edificio in cui lavorarono e si alternarono i migliori artisti dello Stivale.

Le navate laterali, con le trionfanti cappelle e le innumerevoli nicchie che si spalancano lungo il perimetro, perle brillanti in un già ricco forziere, testimoniano i vari passaggi che il gusto artistico ha assunto nel corso dei secoli. Due le cappelle che più di tutte si distinguono sulle altre. Quella di Santa Restituta, con le sue trecentesche sculture e le opere di Luca Giordano, traccia evidente del passato paleocristiano della città di Virgilio: fu l’imperatore Costantino a volerla, prima che fosse incorporata nel Duomo di Napoli. E quella del Succorpo, esempio di architettura rinascimentale databile tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento, forse edificata su progetto del Bramante, immediatamente sotto l’abside. A pochi passi dalla porta d’accesso che immette negli ampi vani di un altro edificio pure stracarico di secoli: il Battistero di San Giovanni in Fonte, forse il più antico tempio cristiano di tutto dell’Occidente.[charme-gallery]

Risale invece alla prima metà del XVII secolo il simbolo per eccellenza della Cattedrale:la Cappella del Tesoro di San Gennaro, ex voto del popolo napoletano, che così intese omaggiare il Patrono per aver liberato la città dai flagelli che in quegli anni di eruzioni, cataclismi e guerre di successione martoriavano la capitale del Regno. Un monumento nel monumento. Unico e preziosissimo nel suo genere per la concentrazione ed il prestigio delle opere d’arte che vi sono custodite, nonché per il numero di artisti di fama mondiale che presero parte alla sua realizzazione. Basta dare uno sguardo al cancello ed al pavimento disegnati dal Fanzago, oppure ai marmi pregiati, alle sculture di scuola berniniana, all’altare del Solimena, agli affreschi, alle pitture ed alle nicchie che custodiscono il busto d’argento e le ampolle col sangue di San Gennaro, per rendersi conto  di quale ricchezza risplenda sotto le sue volte. Opere uniche. Rare e inimitabili. Che rendono la cappella più che un gioiello artistico: un concentrato di capolavori dal valore inestimabile.

E’ in questa cappella che ogni anno, il primo sabato di maggio, il 19 settembre e il 16 dicembre, i fedeli di Partenope attendono con ansia i tre miracoli annuali della liquefazione del sangue di San Gennaro, le cui spoglie riposano al di sotto del presbiterio, in una cripta edificata alla fine del Quattrocento, proprio nelle fondamenta del sovrastante Succorpo. Ed a San Gennaro è dedicato anche il Museo del Tesoro edificato all’esterno della Cattedrale, in cui sono custodite tutte le opere d’arte, i gioielli e gli argenti donati nel corso dei secoli in segno di devozione al santo patrono della città. Montagne e montagne di monili ed oggetti di culto che rendono il tesoro del Santo ancora più ricco di quello della corona d’Inghilterra.